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Chi siamo?

Manteniamo le promesse

Siamo studenti e studentesse, stagisti, commessi, ricercatori e operaie, ovviamente precari e precarie. Ci avete formato anni per mettere a valore le nostre conoscenze. Provate a disciplinarci dentro programmi scolastici fissi e crediti alienanti. Ci fate lavorare per un panino e una mezza bottiglietta d’acqua all’ora, senza uno straccio di diritto, né il buono pasto, né la pausa per pisciare. Metà del nostro stipendio se ne va in affitto, un viaggio in treno vale una nostra giornata di lavoro.
Mentre nelle vostri centri città scintillanti, dentro le vostre vetrine tutto luccica e splende, così bello, così falso, come i vostri sorrisi e le vostre cravatte. Tutto luccica, e siamo noi che lo lucidiamo, per voi.
Ma sappiamo che siete i borghesi di sempre, gaudenti e cretini: ci avete dato le stesse armi che vi uccideranno, e non ve ne siete accorti.
Abbiamo la conoscenza, quella appresa sui libri di notte, per non cadere nelle vostre trappole. Abbiamo la rabbia per spazzarvi via, non ci vorrà un giorno e nemmeno una sola barricata. Ci vorrà una rivoluzione di materia e di coscienza, ma ci arriveremo. Parola di precari.

Noi

Sommario
1. Dalle scuole, all’università, a tutta la società di T.
2. L’ira di una generazione senza futuro di Feder36&bzK
3. Lasciare a loro paura e confusione di bzK
4. Danneggiamento e resistenza? Solo Resistenza! di PaRTiZan
5. Il fuoco è strano di R.
6. Dopo il 14 dicembre. Impressioni dalle facoltà occupate di Jacopo F.

Solidarietà alle ragazze ai ragazzi assaliti a piazza del Popolo il 14 dicembre 2010 da una turba di scherani al soldo di quei mascalzoni che son soliti riunirsi nei più rinomati porcili d’Italia.

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Invitiamo tutte e tutti a stamparlo, se vi aggrada, e distribuirlo laddove vi troviate

“lotta di classe d’amore, presto prima che
sia troppo tardi, troppo per ricordare che
l’amor mio non muore”

Dopo il 14 dicembre. Impressioni dalle facoltà occupate

Che da qualche mese qualcosa stesse cambiando a molti era chiaro.
I più se ne sono accorti solo il 14 dicembre. In particolare son caduti dalle nuvole coloro che fino a quel giorno avevano preferito vedere nel movimento solo giovani che si limitavano ad animare flash mob ed a inviare accorate lettere a “Vieni via con me”, adulandoli per questo.
In piazza del Popolo, nonostante il fumo dei lacrimogeni, molti hanno sgranato gli occhi nel vedere quegli stessi giovani sviluppare con naturalezza una forte volontà di resistenza agli attacchi armati del potere.
Qualcosa ora è quindi cambiato per tutti, che piaccia o no.
Il corteo romano ha così dato il via ad un ampio dibattito che si è imposto in tutta la società italiana, improvvisamente resasi conto di aver fatto crescere una generazione senza prospettive, né immediate né future ma, con sua somma sorpresa, ben determinata a non farsi schiacciare senza lasciare un conto amaro da pagare.
Tralasciando le inutili osservazioni di certi corvi, abituati ad aggirarsi attorno al movimento da più o meno tempo, la discussione veramente interessante è quella che è nata fra gli stessi attori di quella giornata. Pur con delle critiche, delle incomprensioni e dei malumori, quanto è successo a Roma è stato rivendicato da tutti. Anche da chi solamente qualche settimana prima si era sgolato contro i tafferugli del 30 novembre, accusando chi ne era stato coinvolto di vandalismo, ingenuità e poca consapevolezza dell’immagine che davano del movimento. Anche da chi, criticando ogni forma di violenza, tutt’ora ritiene che vi siano altre forme di protesta e altre modalità di comunicazione con il resto della società italiana che potrebbe non capire la rivolta. Gli scontri di piazza del Popolo risultano così essere la memoria condivisa di un movimento che sta crescendo, in cui vediamo porsi in maniera differente rispetto al passato anche coloro che non avevano partecipato all’Onda, per disinteresse o per sfiducia.
Ma è sul valore di questa esperienza che nelle assemblee di facoltà si aprono ampie discussioni fatte di malumori, critiche a ‘chi ha fatto certe cose’, che pur non permettendo di uscire dall’impasse del “violenza sì violenza no” (questione assolutamente poco produttiva), stanno creando un bellissimo clima di confronto e di fermento.
È un altro segno che è cambiato qualcosa con questa mobilitazione: l’impegno, la volontà di combattere e di portare oltre la contestazione, la fiducia nelle lotte sono tornati ad essere un orizzonte condivisibile da tutti. Il Movimento risulta essere argomento di discussione all’ordine del giorno. Non sono ora inusuali momenti di socialità in cui si dibattono, anche con toni accesi, speranze e progetti sul futuro di questa mobilitazione e sulle necessarie pratiche da mettere in campo.
La nostra generazione è finalmente tornata a discutere e a interessarsi di quanto le si muove attorno, mostrando così una volontà, forse tardiva, di assumersi la responsabilità del cambiamento. Questo è il primo segno che il Movimento sta andando bene. Vi sono adesso attesa e impazienza sulle prossime mosse. L’importante è che queste aspettative non vengano deluse, altrimenti i danni sarebbero, oltre che drammatici, irrecuperabili.

Jacopo F.

Il fuoco è strano

Premetto che non farò discorsi di tipo “agiografico”, e questo lo dico perché non mi si fraintenda. Non sono mai stato tanto affascinato dai collettivi, tranne quando ero matricola a Lettere, alla Sapienza.

Insomma, dopo cinque anni di liceo passati in provincia, mi son cominciati a venire dei certi fastidi. La provincia ha addirittura un odore diverso, un odore sottile, che di soppiatto si intrufola nelle maglie dei vestiti e paradossalmente sei l’unico a non sentirlo; una volta scappato, una volta in città. Arrivare ad iscriversi in una grande università e ritrovarsi già con il sacco a pelo nello zaino e sentire finalmente la tanto agognata parola “occupazione”, o altre che mi rimbombano addosso, dà un senso di liberazione enorme. Poi il ragazzo apre gli occhi, e quel mondo che aveva intravisto attraverso la crisalide non gli appare poi così luminoso come nelle aspettative. Comincia a vederne i difetti: nelle persone dei collettivi, troppo scimmiottanti veri personaggi pubblici, nelle bandiere, vecchie, nelle canzoni… vecchie anch’esse; nei ragazzi accanto a sé, investiti di fascino e di troppe illusioni.

Sono passati 5 anni, ed io nel frattempo da ragazzo di provincia, un po’ viaggiando, un po scoprendo nuove realtà, un po’ vivendo in paesi stranieri per diverso tempo, ho scacciato quelle puzza di provincia da dosso, e ho cominciato a sforzarmi di capire e rientrare nelle dinamiche della protesta universitaria, che nel frattempo aveva più che altro cambiato qualche nemico, ma che all’apparenza rimaneva simile a come la avevo lasciata almeno tre anni prima.
Lunedì sera 13 dicembre mi sono incontrato con degli amici in zona San Paolo: qualcuno già stava lì, altri ci stavano raggiungendo da varie facoltà occupate, sempre nella zona della terza università; sono cominciati discorsi di voci sentite od origliate sull’indomani, e a poco a poco un senso di entusiasmo si è cominciato a confondere con una forte insicurezza e paura. Ci aspettavamo infatti un’affluenza minore rispetto al 30 novembre, perché pensavamo che quel giorno si fosse toccato l’apice.

Senza grandissime aspettative, e un po’ di scetticismo, il martedì 14 mi sono svegliato con calma, ho preso il caffè ed ho fumato la sigaretta, ho preso poi la bicicletta e mi sono andato a fare dei giri con nelle cuffie la radio per vedere dove dovevo andare a cercarmi il corteo. Ne incrocio un pezzo dalle parti di piazza Indipendenza: sono molto <piccoli. Riscendo verso via Cavour

e tutto sembra esageratamente normale, a parte sull’incrocio con i Fori, dove dal Colosseo arriva una marea di gente. Faccio un paio di telefonate e contatto Claudio con cui prendo appuntamento sulle scale di San Pietro in Vincoli. Prima di raggiungerlo voglio pedalare fino a largo Argentina per dare un’occhiata alla situazione, ma soprattutto per prendermi un po’ di sole e scaldarmi in una piazza Venezia silenziosa, come solo due settimane prima avevo vissuto. Il silenzio è una componente fondamentale della giornata. Ritorno quindi ad Ingegneria, lego la bici a Monti, e saluto Claudio con un abbraccio. Lui ha un sorriso teso tra l’ansia e il tanto freddo. A poco a poco ci rendiamo conto che la gente questa volta è molto di più delle aspettative, e questo ci dà una piacevole sensazione, come un senso di sicurezza in più; come fossimo protetti. Lui si è portato appresso un paio di limoni, io a casa non li avevo e per strada mi è passato di mente di prenderli; ci serviranno già lungo corso Vittorio. Lì incontriamo Luca, suo coinquilino e mio amico da molti anni, ma il momento è delicato perché abbiamo appena saputo che il governo ha ottenuto la fiducia. La piazza si passa la notizia, e lì comincia il silenzio. Sembra paradossale ma per tutto il tempo, in particolare durante il tratto sul lungo Tevere, la massa rimane come ammutolita, come se fosse in ascolto… sono poche le grida, sono diminuiti i cori, la musica dei camioncini si sente in lontananza. Sentiamo di tanto in tanto delle esplosioni, di piccoli petardi, lo scoppiettio della plastica dei bancomat che brucia. Il vetro frantumato delle banche diventa per assurdo più rumoroso di ogni altra cosa. Piazza del Popolo si apre davanti a noi bella, rotonda ed accogliente nella luce del primo pomeriggio, debole e corposa.

Da quel momento perdo tutto e tutti. Mi allontano da quel delirio, cammino all’indietro senza perdermi nemmeno un attimo di quello che riesco a vedere stia accadendo, così inciampo in muretti e persone fino a ritrovarmi davanti a Santa Maria del Popolo; guardo la facciata e guardo la piazza che si scalda sempre di più, e comincio a pensare alla cappella Chigi, a Raffaello, ai mosaici e a Caravaggio che dalle parti del transetto mi bisbiglia qualcosa; a tutto il tempo buttato lì dentro con penna e taccuino, in un silenzio all’incenso per un ultimo esame di pochi mesi prima. I rumori e le grida attorno a me mi distolgono da questi pensieri e mi giro, intravedendo delle fiamme e mi ritrovo davanti Francesco che mi corre addosso sorridendomi e mi abbraccia, e anche lui come Caravaggio mi bisbiglia qualcosa che non capisco, o non ricordo, e insieme guardiamo il fuoco.

Il fuoco è strano.

Ruggisce, lontano com’è dal lato opposto della piazza, ma non ne sentiamo i suoni. Ci rapisce
una strana sensazione e mi viene da alzare i pugni: grido questa volta, grido come non ho mai fatto durante tutta la giornata. Il fuoco è strano per tanti motivi che ancora non sono riuscito a decifrare, sarà perché non l’ho mai visto partire da delle auto blindate della Finanza, sarà perché non ho mai vissuto una scena del genere, soprattutto al centro di Roma. Il tutto dura una mezz’ora, tempo in cui mi vedo la folla con i caschi che danza avanti e in dietro tra il Corso e la piazza, e Roma sembra una grande sedia a dondolo in fiamme.

Non sono deluso questa volta, non mi sento offeso verso questa gente che ha “rovinato una protesta pacifica” (trita e ritrita frase fatta che ha sempre dato degne conclusioni ad ogni protesta cui ho partecipato). Questa volta penso che il fuoco abbia meno importanza, che sia meno grave di alcuni operati dei governanti. Questo pensiero diventa un coro enorme, perché nel frattempo la gente non è scappata a casa; si è lasciata invece affascinare dal fuoco e lo guarda conscia del pericolo della carica della polizia, che da li a poco ci investirà. Ma la gente resta, resta finché può a guardare il falò…. poi il Muro Torto ci cullerà tutti piano piano verso un luogo sicuro, e poi la sera verso casa.

Quella sera si sono alternati tanti racconti, e le parole si sono bagnate di vino, ma la notte non ci ha portato tante risposte.

Non credo che qualcuno si possa chiamare santo, eroe, monaco guerriero… o altri appellativi simili. Non mi va di fare critiche né di fare elogi. Perché non ci sono persone che si sono comportate bene o si sono comportate male. Non c’è una morale, perché la favola non è finita, e speriamo che sia solo un brillante prologo.

R.

Danneggiamento e resistenza? Solo Resistenza!

Lorsignori ci hanno accusato di essere dei selvaggi black bloc e la morsa giudiziaria vuole affibbiarci i reati di resistenza e danneggiamento mentre la sociologia becera interpreta la giornata del 14 dicembre usando schemi retrivi chiamando in causa gli anni ‘70. E come al solito i giornalisti e i vari tuttologi che in queste occasioni fanno a gara a dirla più grossa non ci hanno capito nulla. In realtà per chi quel giorno ha partecipato alla giornata di Roma, all’enorme corteo che ha visto oltre centomila persone manifestare per le strade della capitale, quella è stata una giornata di lotta e di gioia. Giornata di corpi desideranti liberazione, di volontà di riscossa di questo Paese dal fango in cui la classe dirigente in questi anni lo ha precipitato. Sì, ammettiamolo pure, qualcosa si è rotto il 14 dicembre, ma non solo gli sportelli delle banche individuate a ragione come i responsabili della crisi economica che attanaglia l’Europa, non solo i suv e le superautomobili dei ricchi che infestano arroganti le nostre strade, non solo i blindati delle forze dell’ordine che non si fanno alcun problema a caricare e investire all’impazzata i manifestanti in via del Corso, non solo i nasi dei celerini che si fermavano come accade sovente a manganellare manifestanti inermi già caduti in terra. Ma il 14 dicembre si è rotta anche la cappa asfissiante e soporifera imposta ad un corpo sociale composto di giovani studenti, di lavoratori di ogni età, di migranti provenienti da tutto il mondo. Esistenze precarie, resistenze multiple, che ieri hanno mostrato con grande coraggio e determinazione e con il sorriso sulle labbra, il loro rifiuto delle politiche neoliberiste che tagliano ricerca e diritto allo studio, servizi sociali e diritti e ci fanno vivere una vita povera e grigia, la loro contrarietà al riaffermarsi in parlamento di un governo di corrotti, mafiosi, affaristi e reazionari ma anche ad un’opposizione che non si oppone perché compatibile agli stessi interessi “forti” che favoriscono il governo.
Il 14 dicembre 2010 è stata una giornata in cui la base della piramide sociale si è rivoltata e messa di traverso all’incedere criminale delle classi dirigenti di questo Paese. Non smobilitiamo la nostra lotta ma continuiamola nelle scuole e nelle università contro questa infame riforma, sui posti di lavoro contro lo sfruttamento dei padroni, nei nostri territori contro la devastazione ambientale!
Complimenti alle compagne e ai compagni di Roma e a quelli prove-nienti da tutta Italia che hanno dato vita a questa splendida e gioiosa giornata di resistenza. Solidarietà con gli arrestati e i feriti. Noi continueremo a batterci contro lo sfruttamento, per la dignità, per la ricerca della felicità.

PaRTiZan

Lasciare a loro paura e confusione

La piazza di martedì 14 a Roma, la sua forza e radicalità, se non ha dato l’auspicata “spallata” al governo in carica, l’ha data alla legittimazione sociale di palazzi del potere tutti, blindati nel loro spettacolo desolante e assediati da una sommossa di popolo che, come più d’uno ha notato, ricordava più i moti parigini del 1848 che l’immaginazione al potere del ‘68 o il “vogliamo tutto” del ‘77.
Paura. Paura nei palazzi, paura in un’intera classe politica incapace di parlare ad un popolo in sofferenza. Debolezza e paura hanno generato un primo fuoco di Reazione disordinato e scomposto. Ci hanno provato dapprima con la retorica giurassica della frangia estrema di violenti infiltrata nel corteo pacifico. I tg hanno iniziato da subito a lanciare l’allarme black block. Già mercoledì 15 i servizi stilavano (e fornivano alla stampa) una lista di centri sociali e collettivi “cattivi”, una “cabina di regia dietro la pianificazione degli scontri”. Su questa linea anche i partiti, tra tutti merita una citazione Bersani, che ha dato mostra dell’inossidabilità della vecchia scuola del Pci emiliano: «Non c’è nessuna ragione al mondo che giustifica la violenza – ha detto – ma ieri non c’erano solo i violenti, che andrebbero meglio isolati, ma migliaia di studenti che certamente non ascolta nessuno». Da manuale.
Arriva anche la dissociazione della segreteria nazionale della Fiom, per la quale «gruppi organizzati totalmente estranei alle regole hanno messo in pratica atti di violenza e di guerriglia urbana inaccettabili», che «hanno oscurato il senso della manifestazione ». Un nodo spinoso, alla luce del dialogo che da alcuni mesi intercorre tra il sindacato e molte realtà di base, e che aveva portato alla partecipazione dei movimenti alla manifestazione operaia del 16 ottobre scorso e al coinvolgimento di molti delegati della Fiom nella mobilitazione di martedì 14.
Ad ogni modo, nessuno nei giorni successivi ha potuto ignorare la mole impressionante di materiale video diffuso in rete. Filmati che raccontano una storia inequivocabile, a partire da un’intera piazza che applaude il primo dietrofront della polizia.
Così dopo qualche giorno è partito il contrattacco di un governo spiazzato anche dalla carenza di mostri da mettere dietro le sbarre: a 22 dei 23 fermati dopo gli scontri il gip non ha disposto misure cautelari più restrittivo dell’obbligo di firma. Solo un manifestante è detenuto ai domiciliari.
Ecco la “fase 2”. Mantovano, sottosegretario all’Interno, invoca l’applicazione alle piazze della legislazione sugli stadi: «L’estensione del daspo alle manifestazioni di piazza permette da un lato di contare su uno strumento in più sul piano della prevenzione; in generale, permette di conoscere preventivamente, e non sulla base di mere informative, i soggetti da tenere distanti dalla piazza». Maroni: «Interessante. C’è la possibilità di inserirlo già nel ddl sicurezza». Gasparri: «Qui ci vuole un Sette aprile. Mi riferisco a quel giorno del 1978 [sbaglia, era il ‘79, NdR] in cui furono arrestati tanti capi dell’estrema sinistra collusi con il terrorismo. Qui serve una vasta e decisa azione preventiva.»
Sarebbe abbastanza per parlare di deriva fascista e prodromi del totalitarismo, se non fosse che vengono da un governo tenace nel suo sopravvivere ma debole, dilaniato da beghe partitiche e corruzione, che è ben arduo immaginare possa resistere a lungo al fuoco incrociato del logoramento parlamentare e delle pressioni dal basso.
È una Reazione da operetta. Ora si può lasciare a loro paura e confusione. Per noi è tempo di determinazione e intelligenza.

bzK

L’ira di una generazione senza domani

All’assalto del futuro

Siamo di fronte ad una “svolta”, c’è chi parla di “salto di qualità”, “nuova fase”, io credo ad un fascio di mutamenti e cambiamenti, a livello di composizione, d’espressione, organizzazione, radicalità, del movimento, o meglio dei movimenti che si sono formati negli ultimi mesi contro la riforma Gelmini (per parlare solo della direttrice trainante) ma che alla prova dei fatti hanno dimostrato la capacità di convogliare e coinvolgere anche altri settori precari, lavoratori e non, così come comitati e coordinamenti territoriali, campani e aquilani in primis. Il tratto comune è quello della consapevolezza di una generazione di avere un futuro sbarrato e minato dai prestigiatori della politica e dell’economia, presenti e prossimi venturi (tra gli slogan ricorrenti, “Nessuno ci rappresenta”, “Que se vayan todos”, “Il futuro è nostro”).
Una generazione dunque protagonista di un processo di radicalizzazione sociale; la manifestazione a Roma ne è stata testimonianza ma anche certe risposte, prese di posizione, i giorni seguenti. Non solo sui diversi portali del movimento antagonista, nelle sue diverse anime, v’è un’inusuale ed evidente complicità con la piazza in ogni sua espressione, anche le meno digeribili, ed una certa eterodossia nelle analisi, ma anche sulla stampa mainstream: dopo i primi articoli, che tuonavano fulmini e saette contro i manifestanti con patetiche analogie con la Genova dei “facinorosi”, è emersa una maggiore difficoltà a negare la novità di un movimento così dirompente e al contempo sostenuto da larghi settori della società.
Questo non significa che ‘tutto sia pronto’, come se bastasse un po’ di benzina ad accendere il fuoco del cambiamento, la simpatia più o meno espressa per gli insorti, qualche firma e appello democratico. Pare piuttosto urgere una (ri) tessitura e (ri)collegamento tra le diverse soggettività sociali in mobilitazione, non intenzionate a pagare la crisi ma a crearla e farla pagare, e il confronto, la composizione delle istanze, in modo che il vettore di trasformazione, le forze costituenti dei movimenti siano in grado di comunicarsi e attuarsi direttamente, ampiamente e profondamente. Il movimento universitario sta esprimendo già un incredibile fattore costituente autonomo, a partire dalle pratiche di autoformazione e di ricerca indipendente, per una (ri)costruzione di un’università dal basso. Guai a non valorizzare, o tanto peggio banalizzare, per una presunta metafisica dello scontro palingenetico, assoluto e totale (come è capitato di leggere ultimamente), questi tentativi e messe in pratica.
Qualsiasi movimento costitutivamente libertario, indipendentemente da come si professa (ciò lascia il tempo che corre), è la tensione verso la riappropriazione di quell’universo di relazioni sociali, produttive, culturali che lo costituiscono e che a suo volta contribuisce a costituire. Dunque il miglior auspicio è che si sia in grado, come altre volte si è fatto, di rimettersi al “tavolo” con tutte le soggettività in lotta, accantonando diffidenze che pur spesso vantano buone ragioni storiche. La partita è aperta, occorre giocarla; il 14 dicembre è stata una tappa per un oltre da definire e anche molti volti storici dei movimenti organizzati se ne sono resi conto: che “la solitudine di quei bravi ragazzi” venga meno e sia riempita dalla scesa in campo di tutt@ quell@ che a Roma non c’erano, che siano individualità anti-autoritarie, sindacati e movimenti di base.

Feder36 & bzK

Dalle scuole, all’università, a tutta la società

Estendere la lotta, ribaltare tutto

Il 14 dicembre a Roma è una grande giornata di rivolta e consapevolezza e sono decine e decine le migliaia di persone che scendono in piazza. Molti sono i giovani, e su tutti devono avere fatto un certo effetto le immagini della protesta sociale in Grecia, Inghilterra, Francia, Spagna, Romania ecc.
I cortei sono diversi: si uniscono tutti, o quasi, all’inizio dei Fori e all’altezza di piazza Venezia c’è ormai una marea di gente, da subito molto determinata a farsi sentire, mentre alla Camera deve essere votata la fiducia al governo e quindi la possibile bocciatura della cosiddetta riforma Gelmini sull’università. Quando si passa nei pressi di Palazzo Grazioli volano sacchetti della spazzatura e petardi: le tante comunità in lotta, tra cui quelle della Campania, si fanno sentire. Per le strade ci sono i vissuti più diversi, tutti accomunati da una lotta che vuole essere radicale.
La testa del corteo porta grandi libri di polistirolo a mò di “scudo”. Non sfugge ai miei occhi In ogni caso nessun rimorso di Cacucci (sulla Banda Bonnot) e La Rivoluzione del grande Pisacane, che ritroverò alla fine della giornata in terra, schiacciato da un blindato.
A metà giornata, mentre si fronteggia a distanza la polizia supportata anche da qualche fascista, arriva la notizia: Berlusconi rimane lì, simbolo di un sistema crudele e marcio, si è comprato un po’ di deputati. Non c’è stupore, ma rabbia sì, è quella accumulata in anni di precariato e frustrazione e allora sono le vetrine delle banche, le telecamere, le auto di lusso a essere danneggiate, piccoli simboli o poco più.
Si sa, la polizia reagirà e allora dai cantieri si prende qualche utensile per difendersi. E anche un po’ per attaccare: c’è la volontà di andare in Parlamento e farli uscire uno per uno, a calci in culo.
Com’era quella frase scritta qualche tempo fa con lo spray sul muro vicino casa? “Oggi in Grecia, domani in Italia”. Ecco: ci siamo arrivati! Arrivati in piazza del Popolo si va per via del Corso, Montecitorio è lì, praticamente a un passo. Poi la polizia, i carabinieri, la guardia di finanza caricano violentemente. Più volte.
Scene già viste, ma stavolta i manifestanti rispondo, una due, tre volte. Grida di approvazione e applausi si mischiano alle urla di rabbia, a qualche esplosione di gioia, ai sassi sugli scudi, al crepitìo di un blindato che piglia fuoco: è una liberazione. La lotta continua, non è guerriglia come poi scriveranno, è solo un po’ di resistenza in una battaglia impari per forza di cose. In piazza del Popolo i ragazzi e le ragazze si difendono con dignità e determinazione, ma i poliziotti e i finanzieri danno l’assalto con le camionette in velocità. Alla fine l’hanno vinta loro, e infieriscono. Manganellate, calci e sputi contro persone inermi, scene vissute troppe volte negli ultimi anni, poi – diranno i fermati – le piccole e grandi torture delle caserme: insulti, la nottata al gelo, senza cibo né acqua, pistole sguainate. È la democrazia, quella sempre più simile a una dittatura tutta portafogli&manganello.
Ora, che forse si cominciano a muovere le acque, bisogna muoversi perché il tutto non segua il decorso post-Genova 2001, con la criminalizzazione spinta e un riflusso durato troppi anni e lavorare perché questa lotta si agganci con quel che si muove nel campo del lavoro, dell’antirazzismo, delle lotte portate avanti dai tanti comitati territoriali. Bisogna far sì che si radichino pratiche libertarie, che la volontà di uscire dal buio di un vivere perennemente precarizzato e l’insofferenza verso una esistenza decisa pressoché completamente da altri trovino realizzazione. È una necessità urgente: non è accettabile continuare a vivere al servizio di un capitale che ha sempre meno scrupoli, pagare mila e mila euro di tasse per studiare 3+2 anni e magari fare anche un master per poi lavorare gratis al sevizio di qualche azienda di merda (i famosi stages) oppure fare il commesso, il magazziniere o stare in un call center a 5-6 euro l’ora. Ora basta!
Non è una solo legge che vogliamo fermare, è tutta una società che vogliamo ribaltare e lo faremo con ardore e intelligenza: l’arma della ragione ce l’abbiamo noi.

T.