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L’ira di una generazione senza domani

All’assalto del futuro

Siamo di fronte ad una “svolta”, c’è chi parla di “salto di qualità”, “nuova fase”, io credo ad un fascio di mutamenti e cambiamenti, a livello di composizione, d’espressione, organizzazione, radicalità, del movimento, o meglio dei movimenti che si sono formati negli ultimi mesi contro la riforma Gelmini (per parlare solo della direttrice trainante) ma che alla prova dei fatti hanno dimostrato la capacità di convogliare e coinvolgere anche altri settori precari, lavoratori e non, così come comitati e coordinamenti territoriali, campani e aquilani in primis. Il tratto comune è quello della consapevolezza di una generazione di avere un futuro sbarrato e minato dai prestigiatori della politica e dell’economia, presenti e prossimi venturi (tra gli slogan ricorrenti, “Nessuno ci rappresenta”, “Que se vayan todos”, “Il futuro è nostro”).
Una generazione dunque protagonista di un processo di radicalizzazione sociale; la manifestazione a Roma ne è stata testimonianza ma anche certe risposte, prese di posizione, i giorni seguenti. Non solo sui diversi portali del movimento antagonista, nelle sue diverse anime, v’è un’inusuale ed evidente complicità con la piazza in ogni sua espressione, anche le meno digeribili, ed una certa eterodossia nelle analisi, ma anche sulla stampa mainstream: dopo i primi articoli, che tuonavano fulmini e saette contro i manifestanti con patetiche analogie con la Genova dei “facinorosi”, è emersa una maggiore difficoltà a negare la novità di un movimento così dirompente e al contempo sostenuto da larghi settori della società.
Questo non significa che ‘tutto sia pronto’, come se bastasse un po’ di benzina ad accendere il fuoco del cambiamento, la simpatia più o meno espressa per gli insorti, qualche firma e appello democratico. Pare piuttosto urgere una (ri) tessitura e (ri)collegamento tra le diverse soggettività sociali in mobilitazione, non intenzionate a pagare la crisi ma a crearla e farla pagare, e il confronto, la composizione delle istanze, in modo che il vettore di trasformazione, le forze costituenti dei movimenti siano in grado di comunicarsi e attuarsi direttamente, ampiamente e profondamente. Il movimento universitario sta esprimendo già un incredibile fattore costituente autonomo, a partire dalle pratiche di autoformazione e di ricerca indipendente, per una (ri)costruzione di un’università dal basso. Guai a non valorizzare, o tanto peggio banalizzare, per una presunta metafisica dello scontro palingenetico, assoluto e totale (come è capitato di leggere ultimamente), questi tentativi e messe in pratica.
Qualsiasi movimento costitutivamente libertario, indipendentemente da come si professa (ciò lascia il tempo che corre), è la tensione verso la riappropriazione di quell’universo di relazioni sociali, produttive, culturali che lo costituiscono e che a suo volta contribuisce a costituire. Dunque il miglior auspicio è che si sia in grado, come altre volte si è fatto, di rimettersi al “tavolo” con tutte le soggettività in lotta, accantonando diffidenze che pur spesso vantano buone ragioni storiche. La partita è aperta, occorre giocarla; il 14 dicembre è stata una tappa per un oltre da definire e anche molti volti storici dei movimenti organizzati se ne sono resi conto: che “la solitudine di quei bravi ragazzi” venga meno e sia riempita dalla scesa in campo di tutt@ quell@ che a Roma non c’erano, che siano individualità anti-autoritarie, sindacati e movimenti di base.

Feder36 & bzK