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Lasciare a loro paura e confusione

La piazza di martedì 14 a Roma, la sua forza e radicalità, se non ha dato l’auspicata “spallata” al governo in carica, l’ha data alla legittimazione sociale di palazzi del potere tutti, blindati nel loro spettacolo desolante e assediati da una sommossa di popolo che, come più d’uno ha notato, ricordava più i moti parigini del 1848 che l’immaginazione al potere del ‘68 o il “vogliamo tutto” del ‘77.
Paura. Paura nei palazzi, paura in un’intera classe politica incapace di parlare ad un popolo in sofferenza. Debolezza e paura hanno generato un primo fuoco di Reazione disordinato e scomposto. Ci hanno provato dapprima con la retorica giurassica della frangia estrema di violenti infiltrata nel corteo pacifico. I tg hanno iniziato da subito a lanciare l’allarme black block. Già mercoledì 15 i servizi stilavano (e fornivano alla stampa) una lista di centri sociali e collettivi “cattivi”, una “cabina di regia dietro la pianificazione degli scontri”. Su questa linea anche i partiti, tra tutti merita una citazione Bersani, che ha dato mostra dell’inossidabilità della vecchia scuola del Pci emiliano: «Non c’è nessuna ragione al mondo che giustifica la violenza – ha detto – ma ieri non c’erano solo i violenti, che andrebbero meglio isolati, ma migliaia di studenti che certamente non ascolta nessuno». Da manuale.
Arriva anche la dissociazione della segreteria nazionale della Fiom, per la quale «gruppi organizzati totalmente estranei alle regole hanno messo in pratica atti di violenza e di guerriglia urbana inaccettabili», che «hanno oscurato il senso della manifestazione ». Un nodo spinoso, alla luce del dialogo che da alcuni mesi intercorre tra il sindacato e molte realtà di base, e che aveva portato alla partecipazione dei movimenti alla manifestazione operaia del 16 ottobre scorso e al coinvolgimento di molti delegati della Fiom nella mobilitazione di martedì 14.
Ad ogni modo, nessuno nei giorni successivi ha potuto ignorare la mole impressionante di materiale video diffuso in rete. Filmati che raccontano una storia inequivocabile, a partire da un’intera piazza che applaude il primo dietrofront della polizia.
Così dopo qualche giorno è partito il contrattacco di un governo spiazzato anche dalla carenza di mostri da mettere dietro le sbarre: a 22 dei 23 fermati dopo gli scontri il gip non ha disposto misure cautelari più restrittivo dell’obbligo di firma. Solo un manifestante è detenuto ai domiciliari.
Ecco la “fase 2”. Mantovano, sottosegretario all’Interno, invoca l’applicazione alle piazze della legislazione sugli stadi: «L’estensione del daspo alle manifestazioni di piazza permette da un lato di contare su uno strumento in più sul piano della prevenzione; in generale, permette di conoscere preventivamente, e non sulla base di mere informative, i soggetti da tenere distanti dalla piazza». Maroni: «Interessante. C’è la possibilità di inserirlo già nel ddl sicurezza». Gasparri: «Qui ci vuole un Sette aprile. Mi riferisco a quel giorno del 1978 [sbaglia, era il ‘79, NdR] in cui furono arrestati tanti capi dell’estrema sinistra collusi con il terrorismo. Qui serve una vasta e decisa azione preventiva.»
Sarebbe abbastanza per parlare di deriva fascista e prodromi del totalitarismo, se non fosse che vengono da un governo tenace nel suo sopravvivere ma debole, dilaniato da beghe partitiche e corruzione, che è ben arduo immaginare possa resistere a lungo al fuoco incrociato del logoramento parlamentare e delle pressioni dal basso.
È una Reazione da operetta. Ora si può lasciare a loro paura e confusione. Per noi è tempo di determinazione e intelligenza.

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