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Dalle scuole, all’università, a tutta la società

Estendere la lotta, ribaltare tutto

Il 14 dicembre a Roma è una grande giornata di rivolta e consapevolezza e sono decine e decine le migliaia di persone che scendono in piazza. Molti sono i giovani, e su tutti devono avere fatto un certo effetto le immagini della protesta sociale in Grecia, Inghilterra, Francia, Spagna, Romania ecc.
I cortei sono diversi: si uniscono tutti, o quasi, all’inizio dei Fori e all’altezza di piazza Venezia c’è ormai una marea di gente, da subito molto determinata a farsi sentire, mentre alla Camera deve essere votata la fiducia al governo e quindi la possibile bocciatura della cosiddetta riforma Gelmini sull’università. Quando si passa nei pressi di Palazzo Grazioli volano sacchetti della spazzatura e petardi: le tante comunità in lotta, tra cui quelle della Campania, si fanno sentire. Per le strade ci sono i vissuti più diversi, tutti accomunati da una lotta che vuole essere radicale.
La testa del corteo porta grandi libri di polistirolo a mò di “scudo”. Non sfugge ai miei occhi In ogni caso nessun rimorso di Cacucci (sulla Banda Bonnot) e La Rivoluzione del grande Pisacane, che ritroverò alla fine della giornata in terra, schiacciato da un blindato.
A metà giornata, mentre si fronteggia a distanza la polizia supportata anche da qualche fascista, arriva la notizia: Berlusconi rimane lì, simbolo di un sistema crudele e marcio, si è comprato un po’ di deputati. Non c’è stupore, ma rabbia sì, è quella accumulata in anni di precariato e frustrazione e allora sono le vetrine delle banche, le telecamere, le auto di lusso a essere danneggiate, piccoli simboli o poco più.
Si sa, la polizia reagirà e allora dai cantieri si prende qualche utensile per difendersi. E anche un po’ per attaccare: c’è la volontà di andare in Parlamento e farli uscire uno per uno, a calci in culo.
Com’era quella frase scritta qualche tempo fa con lo spray sul muro vicino casa? “Oggi in Grecia, domani in Italia”. Ecco: ci siamo arrivati! Arrivati in piazza del Popolo si va per via del Corso, Montecitorio è lì, praticamente a un passo. Poi la polizia, i carabinieri, la guardia di finanza caricano violentemente. Più volte.
Scene già viste, ma stavolta i manifestanti rispondo, una due, tre volte. Grida di approvazione e applausi si mischiano alle urla di rabbia, a qualche esplosione di gioia, ai sassi sugli scudi, al crepitìo di un blindato che piglia fuoco: è una liberazione. La lotta continua, non è guerriglia come poi scriveranno, è solo un po’ di resistenza in una battaglia impari per forza di cose. In piazza del Popolo i ragazzi e le ragazze si difendono con dignità e determinazione, ma i poliziotti e i finanzieri danno l’assalto con le camionette in velocità. Alla fine l’hanno vinta loro, e infieriscono. Manganellate, calci e sputi contro persone inermi, scene vissute troppe volte negli ultimi anni, poi – diranno i fermati – le piccole e grandi torture delle caserme: insulti, la nottata al gelo, senza cibo né acqua, pistole sguainate. È la democrazia, quella sempre più simile a una dittatura tutta portafogli&manganello.
Ora, che forse si cominciano a muovere le acque, bisogna muoversi perché il tutto non segua il decorso post-Genova 2001, con la criminalizzazione spinta e un riflusso durato troppi anni e lavorare perché questa lotta si agganci con quel che si muove nel campo del lavoro, dell’antirazzismo, delle lotte portate avanti dai tanti comitati territoriali. Bisogna far sì che si radichino pratiche libertarie, che la volontà di uscire dal buio di un vivere perennemente precarizzato e l’insofferenza verso una esistenza decisa pressoché completamente da altri trovino realizzazione. È una necessità urgente: non è accettabile continuare a vivere al servizio di un capitale che ha sempre meno scrupoli, pagare mila e mila euro di tasse per studiare 3+2 anni e magari fare anche un master per poi lavorare gratis al sevizio di qualche azienda di merda (i famosi stages) oppure fare il commesso, il magazziniere o stare in un call center a 5-6 euro l’ora. Ora basta!
Non è una solo legge che vogliamo fermare, è tutta una società che vogliamo ribaltare e lo faremo con ardore e intelligenza: l’arma della ragione ce l’abbiamo noi.

T.